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di Manuel Pavanello

C’era una volta una città che per mezzo millennio si è chiamata Cavazuccherina e si trovava in una zona improduttiva e paludosa prima che diventasse agricola. Questo non è l’incipit di un una fiaba, ma è esattamente quanto accaduto a Jesolo fino alle cosiddette bonifiche agrarie.

Erroneamente attribuito al regime fascista, il progetto di bonifica iniziò già nei primi 15 anni del 1900, cioè durante il periodo giolittiano. Il territorio paludoso era un ostacolo non solo per la diffusione della rete ferroviaria, ma anche perchè era il luogo di riproduzione per la zanzara anofele, veicolo di diffusione della malaria. La creazione dei “Consorzi di bonifica” fu essenziale per provvedere al risanamento di queste aree e lo è stato anche per i territori di San Donà di Piave e di Jesolo, meglio conosciuti come il “Basso Piave”. L’opera di bonificazione lungo il litorale dell’alto Adriatico si concretizzò con l’istituzione di ben 6 consorzi tra il 1901 e il 1906 (“Ongaro Superiore”, “Cavazuccherina I bacino”, “Bella Madonna”, “Ongaro Inferiore”, “Brian” e “Cavazuccherina II bacino”) al quale se ne aggiunsero altri nel corso del primo dopoguerra. In tutto una dozzina di consorzi operarono in circa 62mila ettari quadri di cui quasi due terzi palustri.

A questo punto ci potremmo chiedere cosa sia rimasto di tutto questo nella nostra città. A San Donà di Piave c’è addirittura un museo dedicato a questo tema dal 1975, ma a Jesolo?

Proprio vicino alla rotonda Tosano, in una proprietà privata chiusa al pubblico abbiamo una reliquia misconosciuta di questo passato: una piccola torre di mattoni di terracotta con pianta esagonale del 1901. Non manca la solita edera sommitale che rende il tutto più suggestivo. Una targa bianca spicca immediatamente su questo sfondo: è una epigrafe commemorativa posizionata lì il 3 settembre 1956, 50 anni dopo l’istituzione del sopracitato consorzio Cavazuccherina. Questo è stato un modo postumo per dire grazie a chi ci ha donato delle terre risanate, coltivabili, abitabili, ma sopratutto vivibili.
Noi oggi diamo per scontato il fatto di vivere in un ambiente urbano risanato seppur con tutti i limiti derivanti dalla cementificazione, ma ciò che vediamo oggi è frutto di una conquista ottenuta con sforzi immani. Vivere in un territorio sano non è scontato, quindi è un nostro dovere rispettarlo per non vanificare gli sforzi di chi è vissuto prima di noi.

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