
Toni Capuozzo
Il suo nuovo libro “Culla del terrore”
Il giornalista ha realizzatoun esempio di giornalismo a fumetto dedicato al terrorismo islamico
Ha seguito, da cronista, le guerre nell’ex Jugoslavia, in Somalia, Medio Oriente, Afghanistan e Unione Sovietica. Toni Capuozzo è uno dei giornalisti e inviati più famosi e apprezzati d’Italia. Nativo di Palmanova, nel vicino Friuli Venezia Giulia, è un punto di riferimento per tanti giovani che ambiscono a seguire le sue orme. Di recente ha pubblicato il suo ultimo libro, “La culla del terrore”, un vero e proprio esempio di giornalismo a fumetti dedicato alla nascita dell’Isis e dell’attuale terrorismo islamista.
- Ci parli della “Culla del terrore”…
È un libro a fumetti dove racconto, in base alla mia esperienza diretta, come ho visto nascere e crescere lo stato islamico di cui oggi si parla molto. Ma anche come è stato possibile che questo fenomeno si affermasse e come sia una minaccia non completamente tramontata. Lei è un attento osservatore dei fatti internazionali. - Da anni si unisce Islam,immigrazione e terrorismo: è un collegamento corretto?
Al di là degli slogan che si sentono, quello che posso dire è che l’Isis (o lo Stato Islamico) è figlio di un’interpretazione letteraria del Corano. Fortunatamente milioni di islamici sono un’altra cosa: persone che non vedono nella violenza un modo di praticare la fede religiosa. - Quali le differenze con le altre organizzazioni?
Se tu combatti un’organizzazione criminale o terroristica comune, si fronteggia un nemico feroce e determinato. Ma nel caso dello Stato Islamico sono persone motivate da una fede, difficile da combattere. - Il punto di forza dell’Isis qual è?
Sono disposti a morire pur di uccidere il maggior numero di persone possibile. - Che cosa pensa dell’integrazione?
Credo che al giorno d’oggi ci si debba interrogare su questo. Ognuno è libero per esempio di professare la propria fede, ma ci sono dei limiti da rispettare: il rispetto della donna, della religione, dei diritti dei minori e di quelli altrui. Ci vuole un confronto aperto.