Venezia non ha mai avuto vere e proprie mura; la sua difesa è sempre stata la laguna, non guadabile a piedi da un esercito in condizioni normali. Tuttavia, nel 16° secolo il livello dell’acqua si abbassò tanto da costringere il Consiglio dei Pregadi (o Senato) a riflettere su un piano regolatore del territorio per scongiurare questa eventualità. Due erano le posizioni politico-ideologiche contrapposte, ma ambedue concordi nel voler deviare la foce del fiume Brenta all’esterno della laguna per scongiurarne l’interramento.
Alvise Corner propose di utilizzare i fanghi ricavati dallo scavo del nuovo alveo del fiume per separare la laguna dal mare -stesso concetto del Mose- e trasformarla in un enorme terrapieno difeso da bastioni veri e propri. Lo scopo era quello di indirizzare lo sviluppo della Serenissima verso la terraferma cambiandone totalmente aspetto e vocazione da marittimo-commerciale ad agricolo.
Invece, Cristoforo Sabbadino propose di togliere i detriti sedimentati sul fondale della laguna e dei canali. I fanghi così ricavati sarebbero serviti per l’ampliamento urbano di Venezia sulla laguna, rimanendo a stretto contatto con il mare. Vinse quest’ultima opzione. in quanto rispettosa della tradizione.
Da questa vicenda rimase la necessità per i Veneziani di definire con maggiore chiarezza quali fossero i confini-mura della città per preservarli. Ne seguì un dibattito lunghissimo fino al arrivare al biennio 1791-92, anno di edificazione di ben 100 cippi di conterminazione di “vecchio tipo”. Di questi 100 originari ne rimangono 5, di cui ben 2 a Jesolo.