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“La mia commedia? Deve saper far ridere ma anche riflettere”

di Alessio Conforti

Ventisette film consecutivi e non sentirli. Carlo Verone, icona della commedia italiana, è nuovamente ai vertici con l’ultima pellicola nazionale, “Si vive una volta sola”, da lui diretta e interpretata. L’uscita dell’opera era fissata per lo scorso 27 febbraio, ma è stata poi rinviata a data da destinarsi a seguito della chiusura dei cinema per l’emergenza Coronavirus. Alla sua presentazione noi c’eravamo, in attesa di vederlo sul grande schermo. Stiamo parlando di un lungometraggio divertente, leggero e ben recitato, che al contempo lancia messaggi importanti da recapitare al pubblico in sala. D’altronde, quando di mezzo c’è una figura poliedrica come quella dell’artista romano, non potrebbe essere altrimenti.

 

  • Carlo Verdone, una nuova commedia con dei valori da far emergere, quali?
    In primis quello dell’amicizia, in tutte le sue declinazioni. Nel film riguarda un gruppo che lavora assieme, un’equipe chirurgica che si frequenta anche nel privato. I personaggi sono tanto bravi nel lavoro quanto smarriti, soli e pieni di problemi nella vita di tutti i giorni. 
  • Poi accade qualcosa…
    Il fatto di frequentarsi sempre, con continuità, porta a una sorta di “usura” dell’amicizia, che fa degenerare i rapporti. Qui nasce l’episodio di svolta, molto forte, che porta all’unità del gruppo. 
  • Che cosa caratterizza il lungometraggio?
    È una storia molto avvincente, piena di colpi di scena e sincera. La storia ha la capacità di far risaltare anche il tema della vita privata e personale. Tra amici si pensa di sapere tutto dell’altro e invece non è sempre così. Ecco allora l’effetto sorpresa.
  • Qual è invece la qualità più importante?
    Quella di saper far divertire, perché è ben scritto, ben diretto e recitato.
  • Max Tortora, Rocco Papaleo e Anna Foglietta: un grande cast…
    Un gruppo che ha funzionato bene, uno dei migliori con cui ho lavorato nella mia carriera. C’è stato un feeling fantastico. Io, Rocco e Max abbiamo tre comicità differenti ma ci siamo legati bene.
  • È il suo 27esimo film da regista e anche in quest’opera ricorre un tema comune: quello del viaggio…
    Si, esatto. Ed è un viaggio importantissimo, perché inaugura la seconda parte della commedia, quella piena di sorprese e che porta da Roma alla Puglia. Per me è stata una benedizione.
  • Come mai?
    L’aver avuto un soggetto che mi portava in altre zone, in questo caso verso Sud, è stato un toccasana, perché ci ha permesso di recitare in maniera diversa, tra colori e suggestioni differenti. Il viaggio estivo è stata una necessità della storia.
  • Com’è cambiata la comicità italiana rispetto ai film che faceva diversi decenni fa?
    È cambiata molto. Cambiano i costumi, i problemi delle persone, il gergo, la gestualità, le mode. Però oggi c’è un problema in più.
  • Quale?
    L’omologazione da parte di tutti. Penso a quello che mi diceva Alberto Sordi, nel nostro ultimo pranzo assieme.
  • Cosa le diceva?
    “Carlè, pe te sarà sempre più difficile fa’ i film, perché so tutti uguali e nessuno si stupisce più di niente”. Aveva ragione. La globalizzazione, in questo senso, ha portato lo stesso taglio di capelli, le stesse marche di scarpe e magliette, gli stessi tatuaggi. Spesso anche gli stessi colori e le stesse macchine. E’ tutto più appiattito. 
  • Quali sono i segreti per continuare a far ridere?
    Si devono cercare i dettagli particolari, quei “tic” che con la propria arte devono poi essere ingranditi e messi sullo schermo per il pubblico.
  • Che cosa deve offrire, oltre alla risata, la commedia?
    Far riflettere su vari temi, anche quelli più difficili. La commedia deve avere il coraggio di affrontare tutti gli argomenti che fanno parte della vita.
  • Che rischio si corre altrimenti?
    Quello di ridurre quest’arte a gag e battute che alla fine fanno dimenticare il film al pubblico troppo velocemente.
    E se lo dice lui…
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