Intervista a Marino Bartoletti

“Quella volta che Pertini disse: non ci prendono più!”

di Alessio Conforti

Marino Bartoletti è tra i volti più noti del giornalismo sportivo italiano. Ha raccontato per decenni imprese tricolori, guidando importanti testate televisive e della carta stampata. Lo abbiamo incontrato a Portogruaro prima della presentazione della sua ultima fatica letteraria, “La partita degli dei”, in una serata curata artisticamente da Luigi Buggio e condotta da Tony Sette. A dominare sono stati personaggi indimenticabili, aneddoti e tante curiosità. Come quella magica sera dell’11 luglio del 1982. Madrid. Finale della Coppa del Mondo di calcio alzata dagli azzurri alla presenza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ma andiamo con ordine.

“La partita degli dei”. Da dove nasce?

E’ un progetto nato ormai quattro anni fa, quando un editore mi chiese se avevo un’idea per un romanzo. Io gli dissi che avevo l’idea su un romanzo favola. E lì nacque “La cena degli dei”, che è stato un piccolo caso letterario in cui immaginavo un grande vecchio, in cielo e in terra, ossia Enzo Ferrari, che riuniva una decina di amici in quel luogo con “l” maiuscola. Attorno a un tavolo ecco quindi alcuni nomi come Luciano Pavarotti, Lucio Dalla, Marco Pantani e Ayrton Senna. Credevo che l’esperimento, per quanto ben riuscito, finisse lì. 

E invece?

E invece ho fatto un sequel, “Il ritorno degli dei”, perché nel frattempo ci avevano lasciato Paolo Rossi e Maradona: in qualche modo volevo parlare di loro. Un terzo libro è la “Discesa degli Dei”, in cui tutti gli dei scendono sulla terra per fare dei piccoli miracoli aiutando dei ragazzi che avevano chiesto loro aiuto. Parliamo di Gigi Proietti, Pino Daniele, Massimo Troisi, Domenico Modugno e Pietro Mennea. 

Eccoci dunque al quarto…

Esatto. Quando pensavo veramente che la cosa fosse finita, a cavallo tra il 2022 e il 2023, se ne sono andati Pelè, Mihajlović e Vialli. Perché quindi non fargli fare una bella partita tra di loro? E così è nata la “Partita degli dei”, un libro che mi sta dando una gioia immensa. Ho percepito un grande affetto nei miei confronti. 

A chi è dedicato?

A Gianluca Vialli, protagonista del libro. La dedica è: “A Gianluca che ci ha insegnato la gentilezza anche nel momento dell’addio”.

A cosa sei più legato dopo tanti anni di mestiere?

Dovremo far notte (ride, ndr). Un orgoglio è quello di esser stato amico di Enzo Ferrari: un uomo che ci ha reso fieri di essere italiani. 

L’evento sportivo invece?

Anche qui è dura. Mettiamoci la finale del Mondiale del 1982 (Italia campione del mondo con vittoria per 3-1 sulla Germania Ovest, ndr). Ero 10 metri sotto al presidente Sandro Pertini che diceva “non ci prendono più, non ci prendono più”. Un ricordo indelebile.

Lo sport è cambiato rispetto a un tempo…

E’ cambiato il mondo e la vita. Ma i valori buoni dello sport devono sopravvivere e io li faccio sopravvivere. 

Cosa ti lascia la tua carriera?

E’ una fortuna avere una certa età e aver fatto parte di una generazione di giornalisti che hanno toccato con mano i campioni che hanno raccontato. Cosa che adesso è molto più difficile. Ho pranzato con loro, ho viaggiato con loro, ho riso con loro, ho pianto con loro e anche per loro. Questo mi lascia: il fatto di poterli raccontare e immaginare in un posto dove li abbiamo sempre visti, ossia in una partita di pallone. E anche pensare che da lassù ci guardano per rimediare, magari, a qualche nostro guaio.

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Pubblicato da: Redazione il 27/03/2024

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